Perché qualcuno pagherebbe il doppio, o anche il triplo, per un farmaco che contiene esattamente la stessa sostanza attiva di un generico? La risposta non è nella chimica. È nella mente.
La stessa sostanza, un prezzo diverso
Prendi un farmaco come l’omeprazolo. Lo trovi in bustina da 10 euro come generico, o in confezione da 35 euro con il nome di un marchio famoso. Stessa dose. Stesso effetto. Stessa approvazione dell’Agenzia Europea dei Medicinali. Eppure, milioni di persone in Europa e negli Stati Uniti scelgono il brand. Non perché sia più efficace. Ma perché lo sentono più sicuro.Negli Stati Uniti, i farmaci generici coprono il 90% delle prescrizioni in termini di numero, ma solo il 22% della spesa totale. In Italia, il 45% dei medici preferirebbe prescrivere un brand se il costo non fosse un problema. E non sono solo i medici. Una ricerca del 2023 ha rivelato che il 35% dei giovani della Generazione Z preferisce i farmaci di marca, anche se costano fino al 79% in più.
Perché il brand sembra più affidabile
Non è una questione di scienza. È una questione di esperienza. Quando una persona assume un farmaco per la prima volta, il corpo reagisce. Il cervello registra: “Questo farmaco mi ha fatto sentire meglio”. Poi, se quel farmaco ha un nome familiare - come Nexium, Lipitor o Sertralina Zentiva - quel nome diventa un segnale di sicurezza. È come riconoscere il volto di un dottore che ti ha curato bene anni fa.La fiducia non nasce dal contenuto della pillola, ma dalla storia che la circonda. I marchi investono milioni in pubblicità, in sponsorizzazioni, in campagne che collegano il loro nome alla guarigione. “Il tuo cuore merita il meglio”. “La scelta dei medici”. “La qualità che puoi sentire”. Queste frasi non dicono nulla sulla composizione chimica. Ma parlano direttamente alla paura, al dubbio, al bisogno di controllo.
La differenza che non c’è
L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) e la FDA negli Stati Uniti richiedono che i generici abbiano lo stesso tasso di assorbimento, la stessa biodisponibilità e lo stesso effetto terapeutico dei farmaci di marca. La differenza ammessa è tra l’80% e il 125% di variazione - un intervallo così stretto che non influisce sulla salute. Eppure, molti pazienti giurano che i generici non funzionano come il brand.Un utente su Reddit ha scritto: “Ho provato tre generici del mio antidepressivo. Solo il brand funziona”. Altri raccontano di mal di testa, stanchezza o nausea dopo il cambio. Ma studi clinici su migliaia di pazienti non trovano differenze statisticamente significative. Allora cosa succede?
La risposta è nel placebo e nel nocebo. Se credi che un farmaco sia peggiore, il tuo corpo lo fa diventare vero. È psicologia. È neurologia. È il cervello che interpreta il cambio di confezione come un rischio. E quando si tratta di malattie croniche - come ipertensione, depressione o epilessia - il rischio percepito è più forte di qualsiasi dato scientifico.
Chi è più fedele al marchio
Non tutti reagiscono allo stesso modo. Le persone con un livello di istruzione più basso sono 1,5 volte più propense a rimanere fedeli ai brand, anche se i prezzi salgono. Per loro, il farmaco di marca è un simbolo di qualità, di affidabilità, di “non rischiare”.Le donne, soprattutto quelle che si occupano della salute della famiglia, tendono a scegliere il brand perché “non vogliono correre rischi”. I pazienti con malattie psichiatriche mostrano una fedeltà particolarmente alta: il 60% rifiuta i generici per antidepressivi o antipsicotici, temendo che una minima variazione nella formulazione possa scatenare un peggioramento.
In Giappone, il 57% dei medici preferisce i brand. In Spagna, il 13% della popolazione si rifiuta categoricamente di usare generici, anche se il medico lo consiglia. In Italia, il fenomeno è meno evidente ma crescente, soprattutto tra i pazienti anziani che hanno iniziato a prendere farmaci negli anni ’90, quando i generici erano visti con sospetto.
La psicologia dietro la scelta
La fedeltà al marchio nei farmaci non è irrazionale. È una risposta logica a un sistema complesso. Il paziente non ha accesso ai dati di bioequivalenza. Non sa cosa significa “AUC” o “Cmax”. Non sa che un generico deve essere testato su 24 soggetti sani per essere approvato. Lui sa solo che il suo dottore gli ha dato quel nome, che la confezione è familiare, che ha funzionato prima.La fiducia è costruita su tre pilastri: esperienza, familiarità e controllo. Se hai preso un farmaco per dieci anni e non hai avuto problemi, cambiare è spaventoso. È come cambiare auto dopo 150.000 km senza guasti. Perché rischiare?
Le aziende farmaceutiche lo sanno bene. Ecco perché creano programmi di supporto al paziente: app per ricordare le dosi, assistenti virtuali, campagne di educazione, sconti sui farmaci. Non vendono pillole. Vendono sicurezza. E la sicurezza ha un prezzo.
Il costo della fedeltà
Il prezzo da pagare è alto. Negli Stati Uniti, i farmaci di marca costano in media 79% in più dei generici. In Italia, un paziente con ipertensione che sceglie il brand invece del generico spende circa 300 euro in più all’anno. Per chi ha una pensione bassa, è una cifra significativa.Eppure, il sistema non punisce questa scelta. Le assicurazioni sanitarie non bloccano automaticamente la prescrizione del brand. I farmacisti non possono sostituire il farmaco senza il consenso del medico. E molti medici, pur sapendo che il generico è equivalente, non insistono. Per paura di litigi, di reclami, di peggioramenti.
Cosa cambierà nel futuro
Le cose stanno lentamente cambiando. L’AIFA ha avviato campagne di informazione per spiegare che i generici non sono “di seconda scelta”. L’Unione Europea ha uniformato i criteri di approvazione. I biosimilari - versioni di farmaci biologici - stanno entrando in uso, ma la fedeltà ai brand è ancora altissima: solo il 32% dei pazienti li accetta entro il primo anno.Ma il vero cambiamento arriverà quando i pazienti smetteranno di vedere il farmaco come un oggetto misterioso e lo vedranno come un prodotto, come un’auto o un telefono. Quando capiranno che un generico non è “meno buono”, ma “uguale, a metà prezzo”.
Per ora, la fedeltà al marchio nei farmaci è un paradosso: sappiamo che non serve, ma continuiamo a pagarla. Perché in medicina, la paura è più potente della logica. E finché non cambierà questo, i brand continueranno a vincere.