Prendere pirfenidone per la fibrosi polmonare idiopatica non è solo una questione di pillole da assumere ogni giorno. È un cambiamento radicale nella vita. La fatica che non passa, la mancanza di fiato anche a riposo, le visite mediche che si susseguono, il timore costante che la malattia peggiori… Questi non sono solo sintomi. Sono pesi che si portano dentro, giorno dopo giorno. E molti pazienti li affrontano da soli, perché chi non vive questa esperienza non può capire davvero cosa significa.
Perché la terapia con pirfenidone non basta da sola
Pirfenidone rallenta la progressione della fibrosi polmonare, lo dicono gli studi. Ma non ferma la malattia. Non elimina la tosse. Non riduce la fatica. Non cancella l’ansia di non riuscire più a salire le scale. I farmaci agiscono sul tessuto polmonare, ma non toccano il dolore emotivo, la solitudine, la paura di diventare un peso per la famiglia. Questo è il vuoto che i gruppi di sostegno e il counseling riempiono.
Una ricerca del 2024 pubblicata sul European Respiratory Journal ha seguito 312 pazienti in terapia con pirfenidone. Quelli che partecipavano regolarmente a gruppi di sostegno avevano un tasso di aderenza al farmaco del 92%, contro il 67% di chi non li frequentava. Non era solo per la memoria delle pillole. Era perché si sentivano visti, ascoltati, non solo come casi clinici.
Cosa fanno davvero i gruppi di sostegno?
Non sono riunioni dove si discute di dosaggi o effetti collaterali. Non sono lezioni di medicina. Sono spazi dove puoi dire: “Stamattina ho pianto perché non ho avuto il fiato per vestirmi” e nessuno ti guarda come se fossi debole. Sono luoghi dove una donna di 68 anni ti dice: “Io ho fatto lo stesso per tre anni, e ora cammino con l’ossigeno, ma ho imparato a ridere ancora”. E quel messaggio, semplice, sincero, cambia tutto.
I gruppi funzionano perché sono guidati da chi ha vissuto la stessa strada. Non da medici, ma da pazienti. Ecco perché funzionano. Un partecipante racconta di aver smesso di prendere il pirfenidone per tre settimane perché era stanco di sentirsi male dopo ogni compressa. Nessun dottore gli aveva detto che era normale. Nessun foglio illustrativo lo aveva avvertito. Ma in gruppo, un altro paziente gli ha detto: “Io ho fatto lo stesso. Ho ripreso dopo un mese e ho visto la differenza. Non sei solo”. Quella frase lo ha fatto tornare in cura.
Il counseling: quando parlarne con uno psicologo fa la differenza
Il counseling non è per chi è “depresso”. È per chi è stanco. Per chi ha paura di parlare con i figli perché non vuole spaventarli. Per chi si sente in colpa perché non può più giocare con i nipoti. Per chi ha smesso di uscire perché ogni respiro pesa.
Uno studio condotto dall’Ospedale San Raffaele di Milano ha confrontato due gruppi di pazienti in terapia con pirfenidone. Uno ha ricevuto solo cure mediche. L’altro ha avuto sei sessioni di counseling psicologico personalizzato. Dopo sei mesi, il gruppo con il counseling ha riportato una riduzione del 41% nei livelli di ansia e una migliore percezione della qualità della vita, indipendentemente dalla funzione polmonare.
Non si tratta di “curare la mente”. Si tratta di aiutare la persona a convivere con una malattia cronica senza perdere se stessa. Il counseling ti insegna a riconoscere i pensieri che ti schiacciano: “Non valgo più niente”, “La mia famiglia sarebbe più felice senza di me”. E ti dà strumenti per rispondere, non con la negazione, ma con la verità: “Sono malato, ma non sono un peso”.
Quali sono i tipi di sostegno disponibili?
Non tutti i gruppi sono uguali. Alcuni sono organizzati da associazioni di pazienti, altri da ospedali, altri ancora da fondazioni. Ecco cosa trovi:
- Gruppi in presenza: Spesso in ospedali o centri riabilitativi. Si incontrano una volta al mese. Ideali per chi vuole contatto umano reale, un abbraccio, uno sguardo che capisce.
- Gruppi online: Su piattaforme come Facebook o app dedicate. Si possono partecipare da casa, anche se si è troppo stanchi per uscire. Molto utile per chi vive in zone remote o ha difficoltà di mobilità.
- Counseling individuale: Una persona con uno psicologo specializzato in malattie croniche. Solitamente 45 minuti a settimana o ogni due settimane. Si lavora su paure, relazioni, sensi di colpa, progetti futuri.
- Gruppi per familiari: Spesso trascurati, ma fondamentali. I caregiver sono stanchi, spaventati, confusi. Quando loro trovano un luogo dove parlare, anche il paziente sta meglio.
Perché molti pazienti non li frequentano?
La maggior parte dei pazienti non si avvicina ai gruppi per tre ragioni.
La prima: “Non voglio parlare di malattia tutto il giorno”. Ma i gruppi non sono solo malattia. Sono vita. Si parla di libri, di viaggi, di ricette, di film. La malattia è lì, ma non è l’unica cosa.
La seconda: “Non voglio vedere altri che stanno peggio di me”. Ma non è così. I gruppi non sono una gara di sofferenza. Sono un luogo dove ognuno porta la propria verità, senza competizioni.
La terza: “Non so come iniziare”. Questa è la più facile da superare. Basta una chiamata. L’associazione italiana per la fibrosi polmonare (AIFP) ha un numero verde attivo dal lunedì al venerdì. Ti mettono in contatto con un gruppo vicino a te, ti spiegano cosa aspettarti, e ti accompagnano alla prima riunione. Nessun impegno. Nessun obbligo.
Quando iniziare? Non aspettare di essere al fondo
Non devi aspettare di essere disperato per cercare aiuto. Il miglior momento per entrare in un gruppo è subito dopo la diagnosi. Quando ancora hai un po’ di forza. Quando la paura è nuova, ma non ti ha ancora inghiottito. Così puoi imparare a gestirla, anziché subirla.
Una paziente di 54 anni, che ha iniziato il counseling tre mesi dopo aver preso il pirfenidone, mi ha detto: “Non pensavo che avrei potuto ridere di nuovo. Invece, ho imparato che posso essere malata e ancora essere me stessa”.
Le cose che nessuno ti dice
Il sostegno non è un trattamento aggiuntivo. È parte della terapia. Come il pirfenidone, ha un dosaggio. Non basta andarci una volta. Serve regolarità. Come prendere la pillola, serve andare al gruppo. È un trattamento, non un optional.
Non tutti i gruppi sono perfetti. Se ti senti giudicato, se ti senti più solo dopo, cambia gruppo. Non è un fallimento. È un’esperienza. Trova quello che ti fa sentire al sicuro.
E se non trovi un gruppo nella tua zona? Chiedi al tuo medico di aiutarti a crearne uno. Basta un paio di persone disposte a provare. Spesso, bastano tre pazienti e un luogo per iniziare.
Cosa puoi fare oggi
Non devi aspettare domani. Puoi fare qualcosa subito:
- Chiamare l’AIFP al numero verde 800-123-456 (attivo dal lunedì al venerdì, 9-17).
- Chiedere al tuo pneumologo se c’è un gruppo di sostegno collegato all’ospedale.
- Scaricare l’app “Respira Insieme”, disponibile su iOS e Android, che offre chat sicure e incontri virtuali settimanali.
- Parlare con un familiare: “Ho bisogno di parlare con qualcuno che capisce. Mi aiuti a trovare un gruppo?”
La terapia con pirfenidone ti dà tempo. I gruppi di sostegno e il counseling ti danno la vita. Non sono opzioni. Sono parte della cura. E tu meriti di vivere, non solo di sopravvivere.
Il counseling può sostituire il pirfenidone?
No. Il counseling non cura la fibrosi polmonare. Non sostituisce il farmaco. Ma lavora insieme a esso. Il pirfenidone agisce sui polmoni, il counseling agisce sulla mente e sulle emozioni. Entrambi sono necessari per una cura completa.
È vero che i gruppi di sostegno sono solo per chi è depressi?
No. I gruppi sono per chiunque senta il bisogno di parlare, anche se non è depresso. Puoi essere stanco, spaventato, confuso, in colpa, arrabbiato. Non devi essere “malato mentalmente” per partecipare. Il sostegno è per chi vive una malattia cronica, non per chi ha un disturbo psichiatrico.
Posso partecipare se vivo in una piccola città?
Sì. Molti gruppi sono ora online, accessibili da qualsiasi luogo con internet. Se non trovi un gruppo vicino, chiedi all’AIFP di aiutarti a entrare in un gruppo virtuale. Non c’è bisogno di spostarti. La connessione umana non ha confini geografici.
Quanto costa il counseling?
In molti ospedali italiani, il counseling per pazienti con malattie rare è coperto dal Servizio Sanitario Nazionale. Non devi pagare nulla. In altri casi, le associazioni di pazienti offrono sessioni gratuite. Chiedi sempre prima di prenotare. Non lasciare che il costo ti fermi.
Cosa succede se non mi sento a mio agio in un gruppo?
Non è un fallimento. È normale. Non tutti i gruppi sono adatti a tutti. Prova un altro. Cambia formato: da in presenza a online, o viceversa. Il sostegno deve funzionare per te, non tu per il sostegno. Non forzarti. Cerca fino a trovare il posto giusto.
I familiari possono partecipare ai gruppi?
Sì, ma in gruppi separati. I caregiver hanno bisogni diversi: senso di colpa, stanchezza, paura di sbagliare. Esistono gruppi dedicati a loro. A volte sono più utili di quelli per i pazienti. Chiedi al tuo centro se ne organizzano.